mercoledì, marzo 02, 2005

Dignità.

Ieri sera tra i fiori del Festival di Sanremo non è mancato l'appuntamento, oramai irrinunciabile nelle occasioni dove lo sperpero di denaro è legge, con la riflessione sulla povertà.
Si è parlato di premio Pulitzer, il concorso che premia l'autore della foto più pietosa del globo, che poi potrà comodamente rivendersi il prestigio acquisito per lavorare in accreditate redazioni, o per aumentare il già voluminoso onorario. La foto premiata stavolta ritraeva un bimbo al limite della denutrizione con un avvoltoio accanto.
Quanto ci si sciacqua bene la bocca con le "battaglie per i diritti", in luoghi del pianeta ai quali abbiamo rubato tutto, finanche la dignità della solitudine!
Il simpatico presentatore non ha potuto evitare di spronare con modi spicci il medio cittadino italiano (quello che "non arriva a fine mese"), a "mettersi la mano in saccoccia". Come se bastasse l'elemosina a risolvere un problema che, da anni, di elemosine ci campa.

Perchè è facile parlare di diritti, quando si è abituati alla retorica parolaia delle nostre tribune politiche: "valorizzare le risorse umane", "limitare l'incidenza sociale delle povertà", "garantire costituzionalmente i diritti fondamentali".
Ma quello che abbiamo noi, la nostra civiltà, non l'abbiamo conquistata con l'affermazione dei diritti. Qualcuno ha dimenticato che il diritto segue, e non precede, all'organizzazione sociale.

Quello che manca a quel bambino non sono i diritti fondamentali, come non gli manca una Playstation o le scarpe con le molle. A quel bambino qualcuno ha negato qualcosa di ancora precedente: la dignità. Dal latino "de- ignis", perchè un uomo degno lo è fintantochè ha un fuoco, una casa, un centro.
Quel bambino non ha una terra da lavorare, ma solo una periferia da ingrossare, spazio permettendo.
Quel bambino non ha un tetto, ma una prospettiva più o meno rosea a seconda dei capricci politici di chi comanda e comanderà.
Un uomo che dipende da altri "centri", lontani ed indifferenti a lui, non ha in sè il significato semantico del termine latino "dignitas".

Ma in fin dei conti, la dignità, quella intesa come necessità sacra di "essere centro", si va perdendo pure da noi.
Il diritto alla proprietà della casa è negato ai più, e spesso siamo noi stessi che vi rinunciamo, preferendo le spese folli della vacanza alla sicurezza di un tetto proprio; la famiglia, si insegna dalle cento cattedre del potere culturale, è un limite alla cosmopoliticità; il migliore stipendio è il prestito, al quale si ricorre perfino per i beni più futili.
Non c'è che dire, ci rimangono i diritti. Che però, come quel bambino, non ci salveranno.

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