sabato, febbraio 25, 2006

Pregiudicato il recupero del pregiudicato.

Ci ha provato, l'Unità. In ogni modo, come fanno le persone per bene, a chiudere con un passato poco dignitoso. Cosa si fa, usciti dal carcere; ci si rifà una vita, no? Lontani dal vecchio bar, dalla vecchia cricca, dai compagni di merenda.
E difatti l'Unità ci ha provato.
Poi sai com'è, un pò l'abitudine, un pò la società che non ti aiuta, ha girato girato girato e alla fine, contro la sua volontà, è cascata un'altra volta.
E ha fatto scrivere a Saverio Ferrari una lista di esponenti di destra da fare fuori in Italia.
Saverio Ferrari, per chi non c'era negli anni '70, è quello che ha fracassato, insieme ad altri futuri medici suoi colleghi all'università, il cranio a Sergio Ramelli. Quindi, nel mondo del crimine e delle carceri, è uno che desta rispetto.

A proposito, Sergio Ramelli era un pericolo golpista di 17 anni, che quella sera tornava a casa. Uno di quei cittadini pericolosi a tal punto che se li fai fuori, con tutta la premeditazione, con tutto che eravate in tre, che era disarmato e che era minorenne, ti danno 11 anni con lo sconto e uno stipendio da giornalista.
Buttali via...

lunedì, febbraio 20, 2006

Boia, macellaio, burocrate autorizzato.

"Bracci della morte". In America si usa così, si fa un palcoscenico quando si giustizia qualcuno; i riflettori vengono puntati su una decina di muscolosi cittadini in attesa "di giustizia".
La nostra stranissima fissazione di applicare Kant pure alla crostata di mele esige che sì, si uccida pure, ma lo si faccia umanamente. Così si può infangare la vita altrui e tutelarla al tempo stesso: sono felici le zitelle forcaiole e gli animalisti pietosi. Una sintesi paradossale, eppure coerente.
Sicchè mi potrete ammazzare, privandomi di ogni cosa, ma non dovete farmi soffrire come si conviene ad uno che viene ammazzato. Siamo sicuri che sia un regalo?

Prova del nove: se vi dico che io voglio agonizzare per ore, prima di morire, lo fate?
Ebbene io esigo di contorcermi, di lanciare delle urla prolungate e strazianti, e magari, se ce la faccio, pure di tendervi una mano e di aggrapparmi ai vostri calzoni, per ricordarvi che sono esistito, per non andarmene come un ospite garbato all'ora di pranzo.
Perchè il boia vigliacco mi fa più paura di un boia semplice. Parlo da cittadino.

mercoledì, febbraio 15, 2006

Petali canditi.

Anni '60, in una Rio annegata di sole come sempre, e non ancora indurita dalla rovina della sua struttura economica, su di un lungomare in bianconero pieno di ottimismo da nuovo continente, tra i figli degli emigrati d'Europa e d'Africa, passeggiava una ragazza bella, molto bella. Tanto bella che Vinicius de Moraes e Antonio Carlos Jobim, perdigiorno e compositori seduti ad un bar sulla stessa strada, ammirandola buttarono giù dei versi bellissimi ed una musica malinconica e serena come il calore del pomeriggio.

Olha que coisa mais linda mais cheia de graça
É ela menina que vem que passa
Num doce balanço, caminho do mar
Moça do corpo dourado do sol de Ipanema
O seu balançado é mais que um poema

É a coisa mais linda que eu já vi passar

Anche per chi non sa il portoghese non ci vuole molto ad apprezzare, credo.
La ragazza si chiamava Heloisa Pinheiro, e adesso è una bella signora sexy, si è trasferita a Miami, ha un sito nella cui pagina principale campeggia una enorme scritta "la musa ispiratrice della famosa canzone..." (con motivetto monofonico al seguito), si è ossigenata e posa insieme a giovani promesse del periodico Playboy. Credo faccia da sponsor ad alcune di queste "conigliette".
Una carriera da baraccone su un dono d'amore, non c'è molto da dire.
La cosa ridicola, in questo squallido lungomare in technicolor e battone in Cadillac, è che la canzone terminava:

Ah, se ela soubesse que quando ela passa
o mundo sorrindo se enche de graça
E fica mais lindo por causa do amor

Non provate a tradurre: scoppiare a ridere, in questo caso, vi spingerebbe fuori sicuramente almeno una lacrima.
Buon san Valentino, il ritardo è voluto.

domenica, febbraio 12, 2006

Perle ai porci.

Si parli delle Olimpiadi, per carità.
Bella figura ci abbiamo fatto, con quella cerimonia d'apertura, che è riuscita ad essere più barocca del barocco. E di quel barocco da sbarco poi, quello gay e pidocchioso, quello dei parrucconi, quello da vignetta.
Una caricatura vergognosa dell'Italia, sono riusciti a far passare per pacchiana persino la Ferrari.
Sono certo, il coreografo ha lavorato all'estero.
Non potevamo, mi rendo conto, perdercelo una seconda volta, bravo o mediocre che fosse.

A proposito, spedite le galline in Francia, torneranno col fegato d'oca.

Addio Jean Cau.

Ho visto finalmente Yukoku, rito di amore e morte, un cortometraggio diretto da Yukio Mishima, che prefigura la morte dello scrittore giapponese di qualche anno dopo.
Mishima si suicidò, proprio come il personaggio del suo film, secondo il rito tradizionale dei samurai nel 1970, per protestare contro il disarmo del Giappone. Aveva 45 anni.
Io di questo film lessi su Jean Cau che avevo 18 anni, me lo immaginavo diverso, forse me lo immaginavo ispirato, esteticamente esaltante. Immaginavo di trovarci un tripudio di vita, forse sognavo di essere un samurai e di suicidarmi anch'io, in adesione ad una tragica scelta, virile e dimessa al tempo stesso.
Virile è virile, dimesso ed elegante come si conviene. Estetico, pure, poteva non esserlo?
Ma esaltante no. Ci ho trovato una teatralità vuota, e disperatamente vuota. Se non l'avessi visto, a distanza di dieci anni, avrei lasciato insoluto questo nodo della percezione: esiste un dovere di non avere doveri, in qualche legge morale, nel cervello, nella storia o nella tradizione?

La risposta negativa me l'ha data il sesto senso, ma quanti riescono come me a cavarsi fuori dagli inutili dubbi che gli inoculano i poeti disperati? Bisognerebbe vietare di leggere fino ai 24 anni.
Prima: calcetto, fidanzatine e rutti.

domenica, febbraio 05, 2006

Scusa, che hai detto?

Ah, questa si. I Danesi fanno le battute, i Musulmani si offendono. Polverone da paura, sedie per aria.
Ho trovato una risposta ad una vecchia curiosità: mi ero sempre domandato, infatti, come cominciassero le guerre di civiltà. Pensa la fortuna, io credevo che cominciassero per motivi seri, come idee, visioni della vita, ataviche diffidenze.
Credevo insomma che scoppiassero per una irriducibile distanza, e invece ho scoperto che nascono così, per una insopportabile prossimità. Come le risse.