mercoledì, dicembre 10, 2008

Di Blondi Hitler e d'altre tenerezze.

Margaret Sanger. Ho cercato qualcosa in rete ed ho trovato una letteratura agiografica da far paura.
La signora, fondatrice del Planned Parenthood, organismo che divulga la cultura della "genitorialità pianificata" (nel presupposto che essa sia spesso un deprecabile errore di valutazione dovuto all'ignoranza o al caso), sosteneva che l'umanità avrebbe dovuto porsi il problema di selezionare una razza migliore, e che gli inadatti avrebbero dovuto essere sterilizzati. Inoltre, siccome razza inferiore, ella sosteneva che gli afroamericani fossero fin troppo prolifici.
L'istituto fondato dalla Sanger ha così, difatti, messo cliniche soprattutto nei ghetti americani, ed ha contribuito a consolidare il singolare dato statistico per cui in america un aborto su due è nero, e gli afroamericani sono l'unica minoranza recessiva della nazione.
D'altro canto, il dato non desta scalpore eccessivo nemmeno in patria. Obama è un amico del Planned Parenthhod. I neri medesimi (sono terrone e lo so) considerano sè stessi, educati nelle scuole pubbliche al rispetto del bavaglino bianco e del faccino candido, come un qualcosa da pianificare perchè sudicio, povero, impresentabile al consesso puritano e civile della storia nazionale.
Incredibilmente, le convinzioni eugenetiche della signora Sanger si trovano a stento nella rete. Piuttosto si sottolinea con forza che costei fosse una paladina dei diritti delle donne, poichè raccomandava di procreare responsabilmente.
La storia incredibile, ora, non è che la Sanger fosse una fanatica razzista. La storia incredibile è che nessuno si ricordi del cagnolino di Hitler.

lunedì, dicembre 08, 2008

Avanti tutta.

Magari fossero contestazioni, quelle di questi giorni alla ministra Gelmini che vuole cambiare la scuola italiana.
Magari quelli più anziani in piazza fossero davvero dei cattivi maestri, e i più giovani degli insubordinati. Magari fossero picchetti, quei presidi minacciati, e pugni chiusi quelle mani minacciose. Avremmo, almeno, di che preoccuparci.
E invece non sono niente. La storia si ripete in farsa, a volte, quando è già stata tragedia; figuriamoci poi, quando già è stata un'improduttiva farsa la prima volta, cosa potrà mai diventare trenta e passa anni dopo. Una bieca messa in scena?
Inutile concertarsi con questa piazza qui. Giovani segaioli come lo siamo stati tutti, bisogna solo rimanere ad osservarli nel medio periodo: alcuni di loro, altri trent'anni ed avranno limato abbastanza le proprie idee, da potersi congedare dalla partecipazione civile come inguaribili e innocui nostalgici, come patetici sedicenti incompresi, o come battaglieri stanchi e nauseati di ogni cosa reale.
Patetici, forse, come vecchi professori comunisti, di quelli che nel 2008 si sono ridotti a fare a gara di giovanilismo tra loro e con gli alunni, con traballanti e, spesso, imbarazzanti esiti.
Naturalmente, solo i ragazzi più ingenui finiranno così.
Quelli più prosaici, infatti, scopriranno tra pochi anni le delizie del capitalismo, e appena avranno un figlio prenderanno a odiare immigrati, zingari e terroni.
Adolescenzialmente parlando, il progressismo sta all'intolleranza come il vino al mal di testa.

Fame.

Gli immigrati fanno lavori che gli italiani non fanno più. Proprio gli Italiani quei lavori non li fanno.
A costo di grattarsi la pancia da mattina a sera, il grasso cittadino tricolore non ne vuole sapere di spazzare le strade o di stendere pizze o di raccogliere pomodori. "Macchè - dice, con la bocca sozza di sugo - scherziamo? Io, un benestante figlio di cotanta patria?".
E difatti il denaro qui da noi non manca: si esce dalle università e già bisogna dribblare le offerte di lavoro, si ereditano dai padri fiorenti attività artigianali, centinaia di migliaia di piccole botteghe sulle quali non tramonta mai il sole, ed anche la più piccola fabbrichetta non teme i rovesci del mercato.
E poi, per chi non eredita, quale maggior facilità ad aprire lui stesso una ditta, o ad inaugurare un impiego in fabbrica pieno di promesse? Non c'è che da scegliere; il figlio dello spazzino diventa avvocato, il barbone vince la schedina, la brutta trova marito.
E poi che stato, che nazione l'Italia! Ad una burocrazia disponibile e attenta si unisce una tassazione quantomai mite e personalizzata. Pare che lo stato ci sia sempre e non ci sia mai, a seconda della maggiore o minore sua utilità nella vita di tutti i giorni.
E' chiaro che quei lavori lì, a queste condizioni, non li voglia fare nessuno. Io proprio non capisco quale italiano ne avrebbe mai bisogno.

venerdì, novembre 28, 2008

Cesarismo e affini.

Fini ha parlato di rischio "cesarismo" nel PdL. E' vero, non c'è dubbio, il rischio c'è.
Ma cosa farebbe Gianfranco Fini se diventasse lui il capo della PdL? Una sola cosa, molto semplice: anzitutto, delegherebbe ogni potere ai suoi fiduciari locali, scelti in base a personale affinità; secondariamente, darebbe loro il permesso di agire senza doverlo preventivamente avvisare, falciando secondo la bisogna chiunque si mostri in disaccordo non già e non ancora sulla linea nazionale, ma sull'azione personale del satrapo finiano di turno.
Fantascienza? Purtroppo no, questo è nè più e nè meno di ciò che è successo in AN, finora dalla sua fondazione. Molti ritengono che, addirittura, sia questa la causa principale dell'estinzione della classe dirigente locale di AN, e in definitiva, della stentatissima sopravvivenza di un partito che, il giorno prima delle elezioni, pare piaccia a tutti, mentre il giorno dopo si scopre, nonostante le fortune degli altri (FI e Lega, soprattutto), sempre relegata sul suo abituale 10-12 %, elettorato perlopiù vecchio e affezionato.
Questo scenario aspetta il Pdl in mano a Fini, e c'è di più: poichè tali sistemi tirannici non funzionano e sono politicamente inefficaci, prima ancora che moralmente disprezzabili, la vecchia AN è divenuta un covo di sospettosi e di traditori, alcuni dei quali dirigono le loro furberie proditorie, addirittura, proprio verso il "caro leader", come accaduto alle ultime elezioni politiche (parlo della Basilicata, ma suppongo siano casi frequenti), il quale, in mezzo ai raggiri dei supposti pupilli, ai quali ha demandato per anni ogni potere decisionale, nulla teme, e quindi nulla può per difendersi.
Qui in Basilicata, per esempio, non solo è cascato nel raggiro di un suo pupillo, ma questo pupillo ha avuto complice un fedellissimo romano del capo, traditore anch'egli, e non basta. L'operazione era rivolta sia ai danni di Gianfranco Fini e la sua linea decisionista, sia contro un protetto finiano di un'altra provincia della regione, certo grosso avvocato sindaco, e Fini non è riuscito a difendere nè sè stesso nè quell'altro poveraccio del suo sindaco. In effetti sia il truffatore che il sindaco hanno una anzianità di servizio finiana da fare invidia, ma adesso che il secondo ha pagato l'inanità del capo, presumibilmente, come una donna tradita, lo odia e vorrà rendergli pan per focaccia alla prossima occasione. E così via; roba da ridere, se non ci fosse da piangere.
E del resto, i suoi più piccoli, in fondo, giocano al massacro perchè costretti: per quanto la fiducia rimessa loro sia tanta, per ora mancano i voti e presto, mercè la smidollata adesione al predellino del Cavaliere, mancheranno i posti. Il che vuol dire, per molti vecchissimi leoni che hanno speso una vita per il partito, la fine di tutto, decisa con la leggerezza di una brezza matutina.
Poi, comunque, bisogna essere onesti: queste cose succedono in ogni partito: chi riesce, chi viene spinto ai margini, chi fallisce, chi ha senza meritare. Ma in nessuna realtà politica monta un malcontento, intimo e profondo, come nel cuore di AN, disagio di militanti e dirigenti continuamente dissimulato e rintuzzato dalla paura di andare via, di rinnegare Almirante, e con lui ciò che resta della gioventù. In fondo si tratta di un partino non più nostalgico, ma fatto di nostalgici.
Persino l'attuale interregno di AN risente di questo clima. Larussa e Alemanno, a differenza di chi va via e di chi resta morendo lentamente, hanno deciso di rilevare la baracca, ed hanno preso a lavorare anche loro di artifizio e di raggiro ai danni del capo: hanno spinto Fini nelle braccia di Berlusconi e lo hanno avviato ("I know my chickens" si saranno detti) ad una lusinghiera quanto effimera carriera istituzional-estera che dovrebbe imitare quella di un Prodi o di un Monti, aristocrazia burocratica alla quale il povero Nostro non avrà mai veramente accesso, per quanto ci si sbatta.
E tutto questo per desiderio di potere (tipico della politica) e, nonostante tutto, per timore del capo, che ha ancora molto potere rispetto a loro e può, teoricamente, azzerare fino all'ultimo minuto le candidature dei loro uomini in ogni regione, decretandone la fine politica.

Fini, come detto, ha paventato il rischio di cesarismo nel PdL.
Ma è meglio il Cesarismo di Cesare, del Cesarismo di Tizio, dico io.

Il favorito ha perso.

In principio, pare, fu l'Antiberlusconismo: "Berlusconi ha occupato le centrali della comunicazione di massa, omologando i flussi di informazioni, banalizzando la cultura e in definitiva cambiando la società". Poi ti ricordi d'un tratto di Gramsci, delle toghe rosse, dei professori sessantottini, delle mamme femministe, dei registi e dei pittori schierati.

L'odio che la sinistra di tutto il mondo prova per Berlusconi non è odio politico. E' l'odio del secondo arrivato, qualcosa di più e di peggio.

sabato, novembre 15, 2008

Sadomaso.

Qualcuno, sulle terrazze dei Parioli, ha molto a cuore le sorti della povera gente. Sono persone sensibili, miliardari con un cuore così. Raffinati come pochi altri, si interessano di tutto ciò che apra le porte della percezione: viaggi, libri, buona tv.
Aborrono la televisione delle tette, le volgarità gridate, le spiagge affollate e la puzza di sudore.

Poi, per qualche irresistibile fremito, nel segreto di un'alcova prendono ordini da Antonio di Pietro. Grrr...

giovedì, novembre 13, 2008

Guardatemi.

Questo è un testamento morale.
Fatene ciò che vi pare, dacchè quando accadesse ciò che sto per dire, potrei bene aver cambiato idea.
Innanzitutto: non vi arrogate il diritto di parlare a mio nome, diffido padri e madri dall'interpretare la mia volontà, perchè essa, nel momento, sarebbe inesistente. Non inespressa, attenzione, ma scentificamente inesistente.
Parlo del giorno in cui, a causa di una patologia simile a quella di Terry Schiavo, diagnosticatami anni fa, potrei finire in coma vegetativo.
La volontà, che altri dovessero esprimere a mio nome, non esiste che nelle loro menti, ed è il precipitato mentale di idee, paure personalissime, ideologie, interessi.
Diffido quindi fin da ora chiunque dall'esprimere, quando sarà, un parere in merito alla mia intenzione di suicidarmi, senza farla precedere e seguire dalla esplicita precisazione che si tratta di una sua personale, ed arrangiata, supposizione.
Diffido anche gli amici, soprattutto per decenza, dall'esprimere pareri in merito ad idiozie del tipo "la sua voglia di vivere", "il suo grande amore per la vita" ecc., perchè esse potrebbero facilmente diventare strumento di pressione psicologica su fidanzate, madri, medici. A me la vita piace, lo sanno tutti. Quello che c'è nel coma vegetativo, invece, mi è indifferente.
E non sono io a crederlo; siete voi, senza nessuna eccezione, ad affermarlo. L'ha detto alla tv persino il padre di Eluana Englaro, stasera: "Eluana non prova nulla".
Quindi io non proverei nulla, e pertanto nessuno è autorizzato a supporre una mia qualche volontà di fare o non fare alcunchè, e nessuno è autorizzato ad affermare che io soffra o stia male o semplicemente non stia bene in quella situazione, perchè non è vero.

Io comunque vorrei restare nel mio letto, se finirò a quel modo. Vorrei che spendiate tempo e denaro per garantirmi di sopravvivere, grazie.
Non mi spaventa, ed anzi trovo idiota questa paura, dormire di quel sonno così profondo, così stabile. Non provavo nulla prima di vivere, non proverò nulla in quei giorni. Se c'è un aldilà, ci andrò, prima o poi come tutti, se non mi sveglio. Se non c'è, meglio trattenersi un pò tra i vivi, hai visto mai.
A proposito, evitate anche la parola "liberazione". Rivela germi mentali marxisti, o peggio induisti: libero da cosa? Credete nella reincarnazione, forse? Beh, io no.
E venitemi a trovare, invece di fare chiacchiere. E magari approfittatene per rimirarmi, in tutta la raggiante tristezza del mio stato, e cavare qualche riflessione da quelle testoline. Così, anche solo qualche pensierino da rivendersi a cena, per fare gli intellettuali, gli uomini vissuti.
O tacete, e guardatevi i fatti vostri, che a me la vostra presenza non è indispensabile. Mi basta la pietà dell'ultimo dei tecnici ospedalieri.

Magari poi, là per là, cambio idea, di questo sono perfettamente cosciente; magari là per là rinsavisco, da qualche parte nella corteccia cerebrale, giusto un attimo per rendermi conto di cosa è successo, e decido che voglio morire.
Se riesco, ve lo faccio capire, eventualmente, ma non ci sperate.
Ad ogni buon conto, fin da ora per allora, chiedo scusa a tutti: al mondo che cerca risposte rapide, alla gente abituata a risolvere tutto e subito, ai politici che devono dare risposte puntuali e tempestive, ai giudici che vogliono legiferare in occasione delle sentenze.
Mi dispiace, davvero, so di essere solo un piccolo incidente, e che tutti avete da fare. Ma dovrete aspettarmi, forse tanto tempo, col rischio che non arriverò.

lunedì, settembre 15, 2008

I valori dell'antifascismo.

Non che ci sia di nuovo qualcosa, nella posizione di Gianfranco Fini, espressa ieri a proposito dell'antifascismo. L'inaspettato crescendo dell'ideologo è stato sì lento, sì impercettibile, ma più che mai annunciato e prevedibile. Gianfranco Fini è un antifascista.
Come tanti ex-fascisti, egli ritiene che non si possa essere democratici senza essere anche, indistinguibilmente, antifascisti. Una costruzione che non merita, ai giorni nostri, tanta attenzione, ma che, siccome affermata con insolenza, non può non imporre a chi sa rispondere di ricacciare tanta ingiustizia nella gola dalla quale proviene.
Storia o non storia, l'antifascismo è sotto gli occhi di tutti, ancora nel 2008.
L'antifascismo fu l'ideologia con cui il PCI rivestì sè stesso di un alibi democratico.
Di fatto, subito dopo il fascismo, nessuno aveva bisogno del fascismo nè del suo opposto, tantomeno se tale opposto, poi, ne fosse una specie di surrogato di segno meno. Nessuno aveva bisogno, tra le macerie fumanti, di altre retoriche progressive, di altro odio persecutorio, di altri rinnegamenti. La gente aveva voglia, e bisogno urgente, di pace.
Ne costituisce prova il fatto che i fascisti se li litigassero come ad un'asta pubblica. Togliatti li voleva nel PCI, Pio XII li voleva nella DC, le pubbliche amministrazioni negli organici. E' naturale, il fascismo era l'Italia, e non si poteva prescindere da una intera nazione, per sostituirvene un'altra.
A questo livello il fascismo è morto; è il "caro estinto", divenuto antipatico e ingombrante, che se ne va. Qualcuno lo piange, qualcuno lo ricorda, altri tirano il classico sospiro di sollievo.
Poi succede qualcosa. Succede che il PCI annusa la possibilità di governare, ma nel clamoroso imbarazzo di farlo in uno stato "borghese", quindi spregevole e tirannico. Urge la dittatura del proletariato, o tocca trovare uno straccio di giustificazione al potere.
Il PCI, dal canto suo, non è in grado di fare una rivoluzione, perchè il patrimonio di voti che si è conquistato è un patrimonio evanescente, che sfuma in un attimo, se posto di fronte alla prospettiva di abbattere le chiese, di cannoneggiare le città e di chiamare i rinforzi russi per costituire i consigli di fabbrica. I comunisti italiani, al tempo, sono persone semplici, cattoliche, perbene. Sono socialisti rintronati.
E allora la soluzione, come del resto era normale che fossero abituati a pensare gli italiani di allora, la dà Mussolini. Viene riesumato il fascismo, ma questa volta non è fascismo vero. E' un fascismo legato dall'alto coi fili, funzionale al solo scopo di minaccia.
E difatti il fascismo, negli uomini che lo avevano fatto, continua a fare carriera politica, fratello tra i fratelli, nella nazione dove nessuno è estraneo. Tutti gli ex-fascisti che vanno a riempire i quadri dirigenti politici e istituzionali della nazione, come se niente fosse, portano avanti l'anelito novecentesco (e quindi fascista, seppure abusatamente) del progresso morale, del progresso tecnico e burocratico, della competetenza e del merito, almeno per qualche decennio. E scrivono leggi, approvano atti. Continuerà il senso statale e unitario della gestione pubblica, permarranno gli assetti sociali e industriali del paese così come li aveva voluti Mussolini. Lo stesso Benito nazionale, prima di morire, aveva scritto nero su bianco che un vero fascista avrebbe dovuto seguire il destino d'Italia, qualunque cosa accadesse, facendo umilmente il suo servizio di cittadino, di padre e di figlio ecc. La figura del fascista golpista è profondamente antimussoliniana.
Mentre l'Italia fascista, con le sue idee, si integra nel nuovo clima e ne costituisce forse l'apparato meglio definito, riprende vita il fascismo; anzi, il pericolo fascismo.
E si scopre, per magia, che Mussolini è stato per gli italiani nientemeno di ciò che Hitler è stato per gli Ebrei; che il fascismo aveva impoverito l'Italia (che quindi, immaginiamo, prima era florida), aveva corrotto lo stato (che pertanto prima era una vergine martire). E si scopre soprattutto che il fascismo non era Mussolini. No. Il fascismo era una categoria storica dello stato borghese. Nel fascismo si sublimavano le paure espresse il secolo precedente da Marx, il fascismo era la borghesia che tiranneggiava i poveri con la scusa della patria.
Era, il fascismo redivivo (o, almeno, redivivibile) la dimostrazione che, gira e rigira, Marx ha sempre ragione.
E indovinate, voi del 2008, quale paladino aveva dalla sua il popolo, contro tanta perversione? Ma il PCI, è ovvio.
E così, di progressione in progressione, fascismo diventa tutto ciò che non è marxista. Fascista diventa la borghesia, fascista diventa il clero, la fabbrica di proprietà, la voce troppo alta, il tram affollato, lo spazzino maleducato. Fascista diventa chiunque non sia comunista, perchè alla prova del nove non è antifascista.
Ve lo ricordate Longanesi che ascoltava, nel '42-'43 mi pare, seccato, il podestà invasato che guardava il sole e ne ammirava con piglio patriottico la bellezza? Egli supponeva che da un momento all'altro il suo fanatico amico, al sole, gli avrebbe dato del fascista. Ecco: l'Italia, di cialtroni così, di gente che giustifica il proprio potere evocando spiriti, ne aveva dovuti sopportare già, un fascismo-anti non serviva a nessuno.
Ed è per questo che tale astruso alibi politico, tale cialtronesca minaccia, per la quale si sarebbe dovuta cominciare una guerra preventiva contro un nemico putrefatto al solo scopo di consacrare il guerriero, non potè far breccia nella cultura che durante il boom economico, quando oramai, mercè madama borghesia, il presente era roseo e appariva sicuro, e il passato era abbastanza lontano da poterne sparlare, senza fare la figura di chi sputa nel piatto in cui mangia.
Che poi, a dirla tutta, fece breccia solo tra i ceti agiati.
Ma l'antifascismo non ha solo il carattere imbroglione di legittimare il PCI, facendo dimenticare ad un tempo che aveva meno voti della DC e che propagandava un regime tirannico a sua volta; l'antifascismo, come tutti i demoni, ha vita propria rispetto a chi lo evoca.
L'antifascismo si fa quindi in un attimo "memoria condivisa", e la guerra che fecero pochi vendicativi diventa la guerra di tutti, e così il PCI, senza forse nemmeno volerlo, è costretto dalla coerenza ad appropriarsi moralmente di una sequela di massacri che solo la fantasia può giustificare con la politica. A nascondere le foibe, a giustificare la volante rossa, a giustificare questo e quello purchè facessero qualcosa di antifascista.
La verità è un'altra.
La verità è che si uccise gente meno fascista dei loro carnefici. gente che in quelle paure marxiste di tetre dittature borghesi, di operai morti dentro le miniere, non aveva alcuna parte. Gente che aveva creduto giusto combattere lì, gente che poteva stare imboscata e invece, per spirito umanitario credette, rimbambita dall'idealismo del novecento, che l'umanità avesse bisogno di guerra, guerra e guerra per riscattarsi. Si uccise per vendetta, punto. E non si uccisero i cattivi, nè si credette di uccidere i cattivi, i carnefici, dacchè chi li uccideva spesso era disposto senza dubbi a portare il bolscevismo in Italia come fosse uno scherzo; si uccisero consapevolmente i militanti dell'ala opposta dello stesso delirante partito.
La riprova è nel fatto che, ad essere precipitati nella foiba di questo inganno sono stati anche i partigiani non comunisti, consegnati spesso ai tedeschi da altri partigiani, e infine umiliati dalla storia in cattedra col silenzio e la diffamazione. Via, fascisti anche loro, reazionari borghesi.
Come fascisti erano i ragazzi trucidati negli anni di piombo. Se Concutelli ammette di essere un assassino, Sofri (che militarmente vale una chiappa di Concutelli) si dichiara prigioniero politico. Per forza: uno ammazzava persone dichiarandoli traditori, l'altro ammazzava gente dichiarandole fascisti; c'è una bella differenza, che fatico ancora, però, a capire.
Ecco l'antifascismo, ed ecco spiegato perchè un democratico può nascere tale (come non è capitato a me), o può diventarlo (e questo sono io), senza passare per la sezione locale del PCI.

Fa bene Gianfranco a dirsi antifascista. Egli lo è, e precisamente va ascritto nella categoria di quelli che vi sono arrivati per calcolo, che giustamente, in genere, sono i più zelanti.
A noi, Gianfranco, non può dare dei fascisti. Noi lo siamo stati meno di lui, pur essendolo stati meglio di lui.

E fa bene la sinistra ad attaccare Berlusconi e dargli del fascista (più o meno implicitamente). Egli è la fine dell'antifascismo.
Al presidente Berlusconi poi, Gianfranco, non può dare del fascista. E questa è la conferma che abbiamo avuto, dopo tutto il tempo passato a chiedere pace e ricevere bastoni, ragione.
Addio mamma, torno a primavera.

venerdì, settembre 12, 2008

Sol d'avvenire.

Sarah Palin, per convincere gli americani a votare per McCain, ha detto che vuol far entrare Ucraina e Georgia nella Nato. Il che, siccome uno stato Nato è fraternamente, immancabilmente e prontamente difeso dagli alleati, vuol dire presso a poco alzare il livello dello scontro con la Russia. Di questi tempi.
Forse Sarah suppone che, di fronte alla ennesima sbruffonata da parcheggio del fast-food, l'orso russo abbassi le orecchie; ma escluderei, così a senso, tanta ingenuità.
Suppongo dunque che l'energica mammina abbia tutta l'intenzione di assumersi la responsabilità di una terza guerra mondiale. Si è fatta fotografare con un bel fuciletto, mi pare, ma vedremo davvero lei, e suoi cari, in prima linea, proprio la prima prima, laddove c'è quel tipico odore di bruciato e di sangue (e di sangue bruciato)?

Cè una tendenza del nostro secolo, vomitevole. La tendenza alle donne che dichiarano guerre. Ha cominciato Oriana Fallaci.
Non combattono, non rischiano. Eppure sommuovono masse umane alla riscossa.
Nella loro aggressività non si legge nemmeno più la sete di potere, quella criminale tipica del dittatore. Leggi l'odio puro, fine a sè stesso. Il puntiglio, l'odio come soluzione, l'odio come risposta, come manifesto di carattere.
Se un essere umano non ha vergogna di minacciare di morte i figli altrui tenendo il suo in braccio (o in grembo, o in sogno), davvero siamo alla soluzione finale dell'umanità.
Forse sono annebbiato da una immagine maschilista della famiglia. Ma nella mia immagine, gli uomini alzavano la voce e le donne la facevano abbassare. Avevano sviluppato, persino, millenni di genetica per acuire quelle capacità "femminili", lenitive delle passioni più distruttive: la voce bassa, gli occhi arrendevoli, l'astuzia e la tattica, la sottigliezza e la parlantina.
Ora, mercè le solite "luminose sorti e progressive", la alzano tutti.
Che sia un progresso, il concerto tra sordi, è tutto da dimostrare.

sabato, marzo 22, 2008

Spazzatura o rifiuti?

Non è un problema affermare che Napoli non fa più nè ridere nè piangere. Il problema vero è che, senza Napoli, l'Italia stessa non fa più nè ridere nè piangere.
E se l'Italia smette di recitare la sua secolare parte, reazione etnica istintiva al decadimento dei costumi, del Pulcinella ironico fustigatore di viltà e propagatore eroico di bei gesti, se l'Italia la pianta di essere Italia insomma, l'utilità della sua presenza nel mondo diventa uguale a quella degli altri.

Chi ha fiuto borghese, oggi, guarda i propri figli e poi, per evolverli verso lo stadio finale, decide di mandarli a studiare e a divertirsi all'estero. In questa scelta c'è dentro di tutto, da Darwin ai contratti "future" degli speculatori di borsa.

mercoledì, marzo 12, 2008

Napoli mia.

Il nodo cruciale della governabilità si deciderà, anche quest'anno, a Napoli. Con la scusa, questa volta, della monnezza i napoletani sono riusciti a fare in modo che, nonostante nessuno sia in grado di stornare altra ricchezza dalle casse pubbliche perchè la malavitosità politica locale è sazia, ci si occupi ancora, politicamente e inevitabilmente economicamente, della gente dimenticata dei vasci.

Non è che lo abbiano fatto apposta, i più attivi del popolo napoletano, per diventare, da ultimi della classe, i più decisivi della nazione; è semplicemente che, di recitare la parte della coscienza povera e scanzonata d'Italia, quella che sta sul proscenio e fa ridere e piangere, di contro a quella ricca e trasparente che non importa a nessun pubblico, gli viene naturale.

I napoletani e i milanesi concorrono ad un nobile e unico scopo comune: ognuno come può, è una formidabile macchina di emancipazione dalla casta politica. Se si unissero, potrebbero comandare sè stessi.

martedì, febbraio 26, 2008

Repubblicano sarà lei.

Queste elezioni sono, per una serie -non del tutto negativa- di coincidenze storiche politiche e ideologiche, la fase finale del piatto di maccheroni che ci mangiamo dal dopoguerra. Vedrete come ci inzupperanno il pane, nell'olio rosso di pomodoro delle parole libertà e progresso, ora come mai. Vedrete con quale gioia dilapideranno, con allegria e voluttà, le ultime calorie residue di un'opera d'arte che non c'è più nel piatto (e non ci sarà più, per chissà quanto) e con quale ironico sprezzo si gusteranno gli ultimi ricordi possibili di quel profumo che, or non è guari, riempiva tutta la stanza: odore di casa, abbondanza, caldo ristoro dell'uomo giusto, del padre italiano, del lavoratore che ha famiglia.
Raccoglieranno con precisione agli angoli del piatto gli ultimi luccicanti mucchietti di sugo, faranno acrobazie col polso per evitare di rimandare indietro anche solo l'unto del fondo, comunque e a prescindere dalla fame; perchè la scarpetta non si fa per piacere, si fa per dovere. Gustare il condimento finale del piatto è un sigillo di onestà tutto italiano, un imperativo etico che gli stranieri non capiscono, ma che più di altro rappresenta la nostra tensione verso la vita, il ciclo naturale del godere, il ridere apotropaico, il non pensarci più.
La gente vede già la fine di quel piatto: mancano i fondi agli enti locali, manca la spinta economica, mancano i soldi e il lavoro, mancano i servizi, mancano gli italiani, manca il presepe e la messa domenicale di una volta, mancano le case popolari e il decoro della povera gente, manca il contegno al ricco e la bellezza alle spose. Eppure la corsa è, sempre più frenetica, al secondo piatto, che però nessuno ha ancora cucinato. Che coraggio.
E' certo: la scarpetta è roba da consumati guerrieri.

domenica, gennaio 13, 2008

Indimostrabile come Popper.

Oggi George Bush ha fatto visita alle truppe americane di stanza in Medioriente. Riflettevo su qualcosa di bello che avrebbe potuto dire.
A pensarci, generalmente sono i cittadini che scelgono pochi uomini perchè questi decidano con una certa discrezionalità il da farsi riguardo questioni di importanza collettiva. Elezioni, deputati, governi, sono l'effetto di un atto di fiducia che i cittadini operano nei confronti di alcune persone, nella speranza che questi facciano (e facciano bene) quanto necessario per tutti.
In questo caso, invece, succede l'inverso: sono i governanti che scelgono, secondo criteri di legge, alcuni cittadini, per mandarli a risolvere, con una discreta libertà operativa, certi problemi comuni.

E se ci pensate un altro pò, verificherete voi stessi che questo è l'unico caso di inversione del favore, della fiducia, dell'investitura e della rappresentanza; l'unico caso in cui i politici investono e sperano direttamente nel cittadino è, insomma, un lavoraccio pericoloso, malpagato e soprattutto fuori dalle balle.
Se penso che abbiamo decapitato il re di Francia, per questo...