martedì, febbraio 26, 2008

Repubblicano sarà lei.

Queste elezioni sono, per una serie -non del tutto negativa- di coincidenze storiche politiche e ideologiche, la fase finale del piatto di maccheroni che ci mangiamo dal dopoguerra. Vedrete come ci inzupperanno il pane, nell'olio rosso di pomodoro delle parole libertà e progresso, ora come mai. Vedrete con quale gioia dilapideranno, con allegria e voluttà, le ultime calorie residue di un'opera d'arte che non c'è più nel piatto (e non ci sarà più, per chissà quanto) e con quale ironico sprezzo si gusteranno gli ultimi ricordi possibili di quel profumo che, or non è guari, riempiva tutta la stanza: odore di casa, abbondanza, caldo ristoro dell'uomo giusto, del padre italiano, del lavoratore che ha famiglia.
Raccoglieranno con precisione agli angoli del piatto gli ultimi luccicanti mucchietti di sugo, faranno acrobazie col polso per evitare di rimandare indietro anche solo l'unto del fondo, comunque e a prescindere dalla fame; perchè la scarpetta non si fa per piacere, si fa per dovere. Gustare il condimento finale del piatto è un sigillo di onestà tutto italiano, un imperativo etico che gli stranieri non capiscono, ma che più di altro rappresenta la nostra tensione verso la vita, il ciclo naturale del godere, il ridere apotropaico, il non pensarci più.
La gente vede già la fine di quel piatto: mancano i fondi agli enti locali, manca la spinta economica, mancano i soldi e il lavoro, mancano i servizi, mancano gli italiani, manca il presepe e la messa domenicale di una volta, mancano le case popolari e il decoro della povera gente, manca il contegno al ricco e la bellezza alle spose. Eppure la corsa è, sempre più frenetica, al secondo piatto, che però nessuno ha ancora cucinato. Che coraggio.
E' certo: la scarpetta è roba da consumati guerrieri.