lunedì, novembre 19, 2012

Alzheimer Decò.

Tempo fa ho scoperto che esiste una corrente dell'architettura contemporanea che si è definita "Neoliberty". "Chissà come sarebbe bella declinata al 2000 - pensavo - quell'architettura che seppe superare persino le proporzioni auree, per sublimarle con la ridondante bellezza dei gambi di fiore". Quell'idea geniale, quella facciata solenne e delicata che ha riportato i più bei quartieri di Parigi, Napoli e Torino, per pochi decenni, all'illusione (del ritorno) della pace dei boschi, dove non c'è struttura e funzione che tenga, e dove la forma e la sostanza si confondono in una sola (allucinata) intuizione estetica.
Poi l'ho visto, il cosiddetto Neoliberty: un decorativismo vanesio e triste, cialtrone come la predica di un prete senza fede. Non che manchino, alle opere di Gae Aulenti, le basi tecniche del Decò: forma e funzione sono senz'altro composte un un unico blocco. Ma è un'unità pesante, priva di bellezza, dove il decoro e la struttura, più che fondersi, si alternano senza fantasia e senza uno schema ideale, in una composizione matematica più che estetica, e dove l'unione non riesce mai a sostituire completamente una semplice, e banale, convivenza.

Di qui la conclusione, dai drammatici ed epocali contenuti politici per quanto mi riguarda: le buone intenzioni, soprattutto di questi tempi, non bastano.


Anzi.