venerdì, novembre 28, 2008

Cesarismo e affini.

Fini ha parlato di rischio "cesarismo" nel PdL. E' vero, non c'è dubbio, il rischio c'è.
Ma cosa farebbe Gianfranco Fini se diventasse lui il capo della PdL? Una sola cosa, molto semplice: anzitutto, delegherebbe ogni potere ai suoi fiduciari locali, scelti in base a personale affinità; secondariamente, darebbe loro il permesso di agire senza doverlo preventivamente avvisare, falciando secondo la bisogna chiunque si mostri in disaccordo non già e non ancora sulla linea nazionale, ma sull'azione personale del satrapo finiano di turno.
Fantascienza? Purtroppo no, questo è nè più e nè meno di ciò che è successo in AN, finora dalla sua fondazione. Molti ritengono che, addirittura, sia questa la causa principale dell'estinzione della classe dirigente locale di AN, e in definitiva, della stentatissima sopravvivenza di un partito che, il giorno prima delle elezioni, pare piaccia a tutti, mentre il giorno dopo si scopre, nonostante le fortune degli altri (FI e Lega, soprattutto), sempre relegata sul suo abituale 10-12 %, elettorato perlopiù vecchio e affezionato.
Questo scenario aspetta il Pdl in mano a Fini, e c'è di più: poichè tali sistemi tirannici non funzionano e sono politicamente inefficaci, prima ancora che moralmente disprezzabili, la vecchia AN è divenuta un covo di sospettosi e di traditori, alcuni dei quali dirigono le loro furberie proditorie, addirittura, proprio verso il "caro leader", come accaduto alle ultime elezioni politiche (parlo della Basilicata, ma suppongo siano casi frequenti), il quale, in mezzo ai raggiri dei supposti pupilli, ai quali ha demandato per anni ogni potere decisionale, nulla teme, e quindi nulla può per difendersi.
Qui in Basilicata, per esempio, non solo è cascato nel raggiro di un suo pupillo, ma questo pupillo ha avuto complice un fedellissimo romano del capo, traditore anch'egli, e non basta. L'operazione era rivolta sia ai danni di Gianfranco Fini e la sua linea decisionista, sia contro un protetto finiano di un'altra provincia della regione, certo grosso avvocato sindaco, e Fini non è riuscito a difendere nè sè stesso nè quell'altro poveraccio del suo sindaco. In effetti sia il truffatore che il sindaco hanno una anzianità di servizio finiana da fare invidia, ma adesso che il secondo ha pagato l'inanità del capo, presumibilmente, come una donna tradita, lo odia e vorrà rendergli pan per focaccia alla prossima occasione. E così via; roba da ridere, se non ci fosse da piangere.
E del resto, i suoi più piccoli, in fondo, giocano al massacro perchè costretti: per quanto la fiducia rimessa loro sia tanta, per ora mancano i voti e presto, mercè la smidollata adesione al predellino del Cavaliere, mancheranno i posti. Il che vuol dire, per molti vecchissimi leoni che hanno speso una vita per il partito, la fine di tutto, decisa con la leggerezza di una brezza matutina.
Poi, comunque, bisogna essere onesti: queste cose succedono in ogni partito: chi riesce, chi viene spinto ai margini, chi fallisce, chi ha senza meritare. Ma in nessuna realtà politica monta un malcontento, intimo e profondo, come nel cuore di AN, disagio di militanti e dirigenti continuamente dissimulato e rintuzzato dalla paura di andare via, di rinnegare Almirante, e con lui ciò che resta della gioventù. In fondo si tratta di un partino non più nostalgico, ma fatto di nostalgici.
Persino l'attuale interregno di AN risente di questo clima. Larussa e Alemanno, a differenza di chi va via e di chi resta morendo lentamente, hanno deciso di rilevare la baracca, ed hanno preso a lavorare anche loro di artifizio e di raggiro ai danni del capo: hanno spinto Fini nelle braccia di Berlusconi e lo hanno avviato ("I know my chickens" si saranno detti) ad una lusinghiera quanto effimera carriera istituzional-estera che dovrebbe imitare quella di un Prodi o di un Monti, aristocrazia burocratica alla quale il povero Nostro non avrà mai veramente accesso, per quanto ci si sbatta.
E tutto questo per desiderio di potere (tipico della politica) e, nonostante tutto, per timore del capo, che ha ancora molto potere rispetto a loro e può, teoricamente, azzerare fino all'ultimo minuto le candidature dei loro uomini in ogni regione, decretandone la fine politica.

Fini, come detto, ha paventato il rischio di cesarismo nel PdL.
Ma è meglio il Cesarismo di Cesare, del Cesarismo di Tizio, dico io.

Il favorito ha perso.

In principio, pare, fu l'Antiberlusconismo: "Berlusconi ha occupato le centrali della comunicazione di massa, omologando i flussi di informazioni, banalizzando la cultura e in definitiva cambiando la società". Poi ti ricordi d'un tratto di Gramsci, delle toghe rosse, dei professori sessantottini, delle mamme femministe, dei registi e dei pittori schierati.

L'odio che la sinistra di tutto il mondo prova per Berlusconi non è odio politico. E' l'odio del secondo arrivato, qualcosa di più e di peggio.

sabato, novembre 15, 2008

Sadomaso.

Qualcuno, sulle terrazze dei Parioli, ha molto a cuore le sorti della povera gente. Sono persone sensibili, miliardari con un cuore così. Raffinati come pochi altri, si interessano di tutto ciò che apra le porte della percezione: viaggi, libri, buona tv.
Aborrono la televisione delle tette, le volgarità gridate, le spiagge affollate e la puzza di sudore.

Poi, per qualche irresistibile fremito, nel segreto di un'alcova prendono ordini da Antonio di Pietro. Grrr...

giovedì, novembre 13, 2008

Guardatemi.

Questo è un testamento morale.
Fatene ciò che vi pare, dacchè quando accadesse ciò che sto per dire, potrei bene aver cambiato idea.
Innanzitutto: non vi arrogate il diritto di parlare a mio nome, diffido padri e madri dall'interpretare la mia volontà, perchè essa, nel momento, sarebbe inesistente. Non inespressa, attenzione, ma scentificamente inesistente.
Parlo del giorno in cui, a causa di una patologia simile a quella di Terry Schiavo, diagnosticatami anni fa, potrei finire in coma vegetativo.
La volontà, che altri dovessero esprimere a mio nome, non esiste che nelle loro menti, ed è il precipitato mentale di idee, paure personalissime, ideologie, interessi.
Diffido quindi fin da ora chiunque dall'esprimere, quando sarà, un parere in merito alla mia intenzione di suicidarmi, senza farla precedere e seguire dalla esplicita precisazione che si tratta di una sua personale, ed arrangiata, supposizione.
Diffido anche gli amici, soprattutto per decenza, dall'esprimere pareri in merito ad idiozie del tipo "la sua voglia di vivere", "il suo grande amore per la vita" ecc., perchè esse potrebbero facilmente diventare strumento di pressione psicologica su fidanzate, madri, medici. A me la vita piace, lo sanno tutti. Quello che c'è nel coma vegetativo, invece, mi è indifferente.
E non sono io a crederlo; siete voi, senza nessuna eccezione, ad affermarlo. L'ha detto alla tv persino il padre di Eluana Englaro, stasera: "Eluana non prova nulla".
Quindi io non proverei nulla, e pertanto nessuno è autorizzato a supporre una mia qualche volontà di fare o non fare alcunchè, e nessuno è autorizzato ad affermare che io soffra o stia male o semplicemente non stia bene in quella situazione, perchè non è vero.

Io comunque vorrei restare nel mio letto, se finirò a quel modo. Vorrei che spendiate tempo e denaro per garantirmi di sopravvivere, grazie.
Non mi spaventa, ed anzi trovo idiota questa paura, dormire di quel sonno così profondo, così stabile. Non provavo nulla prima di vivere, non proverò nulla in quei giorni. Se c'è un aldilà, ci andrò, prima o poi come tutti, se non mi sveglio. Se non c'è, meglio trattenersi un pò tra i vivi, hai visto mai.
A proposito, evitate anche la parola "liberazione". Rivela germi mentali marxisti, o peggio induisti: libero da cosa? Credete nella reincarnazione, forse? Beh, io no.
E venitemi a trovare, invece di fare chiacchiere. E magari approfittatene per rimirarmi, in tutta la raggiante tristezza del mio stato, e cavare qualche riflessione da quelle testoline. Così, anche solo qualche pensierino da rivendersi a cena, per fare gli intellettuali, gli uomini vissuti.
O tacete, e guardatevi i fatti vostri, che a me la vostra presenza non è indispensabile. Mi basta la pietà dell'ultimo dei tecnici ospedalieri.

Magari poi, là per là, cambio idea, di questo sono perfettamente cosciente; magari là per là rinsavisco, da qualche parte nella corteccia cerebrale, giusto un attimo per rendermi conto di cosa è successo, e decido che voglio morire.
Se riesco, ve lo faccio capire, eventualmente, ma non ci sperate.
Ad ogni buon conto, fin da ora per allora, chiedo scusa a tutti: al mondo che cerca risposte rapide, alla gente abituata a risolvere tutto e subito, ai politici che devono dare risposte puntuali e tempestive, ai giudici che vogliono legiferare in occasione delle sentenze.
Mi dispiace, davvero, so di essere solo un piccolo incidente, e che tutti avete da fare. Ma dovrete aspettarmi, forse tanto tempo, col rischio che non arriverò.