lunedì, novembre 19, 2012

Alzheimer Decò.

Tempo fa ho scoperto che esiste una corrente dell'architettura contemporanea che si è definita "Neoliberty". "Chissà come sarebbe bella declinata al 2000 - pensavo - quell'architettura che seppe superare persino le proporzioni auree, per sublimarle con la ridondante bellezza dei gambi di fiore". Quell'idea geniale, quella facciata solenne e delicata che ha riportato i più bei quartieri di Parigi, Napoli e Torino, per pochi decenni, all'illusione (del ritorno) della pace dei boschi, dove non c'è struttura e funzione che tenga, e dove la forma e la sostanza si confondono in una sola (allucinata) intuizione estetica.
Poi l'ho visto, il cosiddetto Neoliberty: un decorativismo vanesio e triste, cialtrone come la predica di un prete senza fede. Non che manchino, alle opere di Gae Aulenti, le basi tecniche del Decò: forma e funzione sono senz'altro composte un un unico blocco. Ma è un'unità pesante, priva di bellezza, dove il decoro e la struttura, più che fondersi, si alternano senza fantasia e senza uno schema ideale, in una composizione matematica più che estetica, e dove l'unione non riesce mai a sostituire completamente una semplice, e banale, convivenza.

Di qui la conclusione, dai drammatici ed epocali contenuti politici per quanto mi riguarda: le buone intenzioni, soprattutto di questi tempi, non bastano.


Anzi.

giovedì, agosto 30, 2012

Ridotto.

Ho guardato l'ultimo film di Batman.
Sembrerà una minchiata, ma non lo è: un (altro) film in cui una banda di fricchettoni comunisti vuol distruggere l'oleografico giardino della civiltà occidentale. Fa parte di una fortunata serie di film con cui il partito repubblicano conta di emozionare l'elettorato conservatore (e analfabeta) d'America e, se possibile, del mondo. D'altro canto va detto anche che la filmografia di sinistra, da sempre, divulga a livello mondiale storie di suore che picchiano bambine, generali che cominciano guerre e imprenditori che avvelenano il mondo, per emozionare, dal suo lato della barricata, l'elettorato progressista (e gli scoppiati di ogni età).
Avrete notato quanto, ai nostri giorni, sia stitico il dibattito ideologico e quanto sia prolifico questo filone cinematografico. Il caro vecchio confronto tra idee non s'usa più: comizi, dibattiti, libri. Oggi vanno di più le poesie, le foto del viso smunto di un bambino, i video trucidi della violenza tribale. Nichi Vendola le definisce, con un termine lucidissimo, "narrazioni".

Peccato non ho preso i pop corn.

giovedì, agosto 02, 2012

I maschi senza muscoli sono spacciati.

Il femminismo è l'ideologia più maschilista della storia. Se la questione astratta viene dichiarata essere il rispetto della donna, esso poi (con una eterogenesi dei fini veramente molto femminile) non si dà tanto all'insegnamento di quel rispetto ai maschi, quanto piuttosto all'attizzamento di un'uguale pari aggressività da parte delle femmine. Un errore culturale di proporzioni non ancora pienamente apprezzate, che poteva provenire solo da una cultura ignara del contributo, in materia, della morale cristiana.

In questa battaglia tra villosi gladiatori, dove il successo e lo spintone vengono celebrati in una perenne olimpiade androgina, l'unico argine che impedisce la regressione a una bruta, e pura, dialettica muscolare, l'unico puntello che tiene in piedi l'illusione della parità, è quello dato dall'opulenza del vivere moderno, dove i muscoli contano meno di niente.
Ma se domani scoppiasse una guerra anche locale, col suo seguito di paura, precarietà e miseria, io temo che dimenticheremmo d'un colpo, mercè il femminismo bevuto finora, l'eco lontano delle mille Madonne cristiane, e rivedremmo ancora certamente, nelle convulsioni umane della lotta per la sopravvivenza, la spregevole sagoma di Medea o Pandora, figure temibili, ma di facili prede.
Al tempo delle caverne funziona così: i forti prendono ciò che vogliono. Questo fa sì, quindi, che i deboli non abbiano altra difesa che la sottomissione e il tradimento. Il che comporta, infine, che i forti cerchino di continuo la vendetta sui deboli e il suo inebriante odore metallico, in un cerchio vizioso e infinito.

Il femminismo, parola singolare maschile, è l'inizio della preistoria. Quella si, molto maschile.

giovedì, luglio 12, 2012

Laggente.

La gente vuol vedersi riconosciuto il diritto di sapere per poter esercitare con maggior profitto il diritto di essere ignorante.

Ho visto un re.

Il socialismo è l'ideologia più ingenua della storia, figlia di un tempo in cui i re e i capitani d'industria erano ancora proprietari di uno stile e di una cultura diversa e superiore. Essi infatti, al di là delle personali tenute morali, erano guardiani di un patrimonio di regole che imponevano loro, verso chiunque, etichette di rispetto, di distanza, di sensibilità e di prudenza, e proprio per questo, in qualche modo, erano percepiti dalla società come soggetti necessari, e per tanto rispettati. Ma oggi, perchè chiedere ancora la testa delle casate nobili e borghesi d'Europa, quando si può ammirare il loro quotidiano disfacimento nel diluente delle plebi più semplici? Diete, cocktail e tatuaggi, eccessi e chiacchiere, le classi dirigenti assomigliano sempre di più ai liberti arricchiti di fine impero: raffinati ed eleganti, ma in nulla dissimili a coloro che vorrebbero governare in quanto a cultura e prospettive.
E' merito forse della maggiore accessibilità ai saperi, che pone all'attenzione di chiunque libri e musiche degni di un re; o è colpa, magari, della maggiore promiscuità sociale, provocata in politica dagli sconquassi della Riforma, chissà.

Sta di fatto che il socialismo è stato l'ultimo atto d'amore dell'Europa per la sua storia, l'ultimo tentativo di salvataggio del suo antico e complicato fardello culturale; in quell'odio per le classi dirigenti coltivato dagli intellettuali c'era, oltre all'anelito progressista, una straziante richiesta di ordine e di stile, diretta a classi dirigenti percepite oramai come inutili contenitori di privilegi. Destra e sinistra infatti, nella storia del socialismo, si confondono e si annullano.
E forse proprio per questo il socialismo, più passa il tempo, e più affascina solo le persone ben nate (depositarie, quasi inconsapevoli ormai, di frammenti di quella cultura "alta"), mentre la gente semplice, più passa il tempo, più si allontana dall'Utopia, per esercitare il mestiere del piccolo epicureo.

Il socialismo fu il lamento dell'Europa dinanzi alla rovina della sua nobiltà; il seguito è un grande, lungo atto d'indifferenza. Se passeremo dall'indifferenza all'oblio, mescolati con mille altri popoli e mille altre guerre, e ricostituendo nuovi ordini e nuovi stili, io non lo so. Ma sono sicuro che l'indifferenza, finchè resta tale e non si fa ancora oblio, nasconde sempre il dramma onirico del viaggio a ritroso.


E qui casca l'asino, puntualmente.

mercoledì, giugno 06, 2012

Scorza.

La differenza più caratteristica (mi pare di capire) tra i sedicenti popoli evoluti e quelli che si pretendono arretrati, è che, riguardo i propri limiti culturali, i primi non li ammettono, mentre i secondi ne hanno un'inconfessabile simpatia.

Questo complica parecchie cose.

Appocundria.

Non capisco se, nel corso dei decenni, è Napoli che trasforma la sua musica, o il contrario.

mercoledì, maggio 09, 2012

Dio stramaledica i Tedeschi.

La crisi (non viene detto troppo spesso) ha condotto a una situazione tipica di tutte le crisi: c'è chi si impoverisce rapidamente, e c'è chi si arricchisce con la stessa rapidità. Vale per gli uomini, vale anche per gli Stati.
La Germania, per esempio, oggi è nella felice condizione di vendere in Euro e comprare in Marchi.
Mi spiego: la Germania esporta in tutto il mondo con una moneta (l'Euro) svalutata rispetto al passato, ma acquista denaro (mediante l'emissione dei titoli di Stato) pagando interessi molto bassi (i famigerati Bund), in base alla solida credibilità finanziaria della sua storica finanza nazionale.
Gli altri, cioè noi, si trovano invece nell'infelice condizione opposta. Noi Italiani (insieme ai Greci, agli Spagnoli e non solo) esportiamo con una valuta (sempre l'Euro) supervalutata rispetto al passato, ma ci procuriamo denaro promettendo interessi altissimi, in base alle più o meno disastrate situazioni finanziare nazionali.
Risultato: la Germania, quando vende automobili, riesce a praticare prezzi come quelli delle auto italiane e francesi (grazie all'Euro); quando deve procurarsi denaro paga ai creditori interessi molto più bassi di Italiani e Francesi (come se avesse ancora il Marco).

Questo è inaccettabile per un motivo semplicissimo: è vero, e bisogna dirlo, che la Germania si è guadagnata da sè il diritto di promettere ai suoi creditori interessi più bassi di quelli Italiani, in cambio dell'acquisto dei suoi titoli di Stato, perchè è più solida, più produttiva e più stabile. La Germania ha il diritto di essere Germania.
Ma non si è guadagnata da sè, va parimenti detto, anche il diritto di vendere all'estero con una moneta più svalutata dell'ingombrante Deutsch-Mark. Se l'Euro è una moneta più vantaggiosa per l'export tedesco è solo per un motivo: è una moneta calmierata (o se preferite zavorrata) dalla compartecipazione di paesi poveri come la Spagna, il Portogallo e la Grecia. Senza di loro, e magari senza l'Italia e la Francia, un'automobile tedesca costerebbe molto, ma molto, di più.

Orbene, si può dire che, in quella che si definisce ottimisticamente "Unione", la Germania usa l'economia greca per aiutare la sua bilancia commerciale, ma non vuole che la Grecia usi l'economia tedesca per ripianare i suoi debiti.

Io credo che, pur rispettando i meriti e i demeriti di ciascuno, bisogna sollevare esplicitamente la questione: o la Germania si rassegna a emettere titoli di debito in Euro insieme a tutti gli altri (gli Eurobond di Tremonti), portando a compimento l'unificazione monetaria a vantaggio di tutti, o il progetto intero dell'unificazione monetaria va ripensato. Non possiamo subire la spietata concorrenza tedesca sui mercati, e poi consolidare "fraternamente" i bilanci quando bisogna pagare le spese: o condividiamo sia le spese che i guadagni, o l'unione monetaria si rivela un sistema iniquo e recessivo per la maggioranza degli stati dell'UE, che come tale va riconsiderato in sede politica.



La Germania della crisi è un ospite che non invita nessuno al suo desco, ma si siede volentieri a banchettare in casa d'altri: vorace quando si tratta di allungare il brodo altrui, avara quando è il momento di dividere la sua bistecca.
E quando le si chiede equità, eccola rinfacciare che (come darle torto!) il suo filetto di vitella non vale il nostro magro consumè. Che lei, però, continua a sorbire con appetito.

mercoledì, maggio 02, 2012

Il Veglione del primo Maggio.

La dimostrazione che le crisi economiche sono il ventre fecondo della storia: destra e sinistra sono finalmente concordi su una questione che, in altri tempi di espansione economica, avrebbe lasciato due-tre morti in ogni piazza. Eccola.

Quando la moneta gira, i diritti non sono un problema. E quando la moneta non gira, i diritti non sono la soluzione.


E' la fine della politica come la conosciamo, se non ve ne siete accorti.

mercoledì, aprile 18, 2012

pRosa.

Ho nelle vene tracce dei Dori e degli Illiri.
Per questo, forse, sono sempre così irrequieto, attratto dal ritorno in posti dove non sono mai stato. Sogno l'arrivo felice ad abbracciare mute cime bianche di neve, su valli nascoste umide di pietra e capelvenere, verso sorde spiagge affogate di giallo e blu.
Luoghi mai visti prima, e comunque mai conosciuti, dove arrivo solo io, a trovarvi rifugi bruni e d'oro, e sapori mai sentiti.

Il dottore dice che è stress. Bah.

martedì, aprile 17, 2012

Finanziamento pubblico o accanimento terapeutico?

Vero è che i partiti in qualche modo devono pur campare. Vero è che nel nostro sistema politico essi svolgono l'imprescindibile funzione di interporsi tra la rappresentanza e le pressioni lobbistiche. Vero è che senza partiti l'Italia diventa un mare scosso dalle onde di una continua guerra tra bande locali e lanzichenecche.

Ma sono anni, oramai, che viviamo senza.

venerdì, aprile 13, 2012

Buffoni e maschere tristi.

I finti centurioni al Colosseo sono un insulto all'eleganza che una metropoli europea dovrebbe vantare anzitutto, in questi tempi di magra e in mancanza d'altro. Sono rozzi buffoni che in nessun modo si possono inserire nell'offerta culturale della capitale, che non di carnevalate ha bisogno, ma di camerieri e di spazzini. E infine, col loro fare spiccio da energumeni, mettono a rischio l'immagine accogliente, magrolina e rassicurante che dobbiamo dare all'estero per varie ragioni, non ultima (nemmeno a farlo apposta) la storia passata e recente.
Però; c'è un però. I finti centurioni sono anche poveri cristi, che la mattina si vestono da buffoni per campare di spiccioli, all'aria aperta e circondati di turiste. I finti centurioni sono l'Italia che si rimbocca le maniche anche se non sa (e non vorrebbe) fare niente, piuttosto che morire d'inedia. E' l'Italia che non si perde d'animo e non prende mai niente sul serio, e che alla fine in qualche modo la sfanga anche lei, senza elemosinare niente a chiese, stati e organismi internazionali.
E a me personalmente, l'idea che un vincolo dei beni culturali possa reprimere la piccola genialità dell'espediente, facendolo passare per un'odiosa nota stonata nella "peraltro impeccabile" sinfonia dell'Italia un tanto al chilo, dà un fastidio tremendo. E non capisco nemmeno l'accanimento: in fondo, spesso, nelle biennali e nelle mostre cinematografiche, amministratori e intellettuali sono così disponibili a tramutare il fetente "trash" in raffinato "naif". Ci vuole per forza la militanza sessantottina per giovarsi dell'alchimia?
La verità è che il lavoro, e i nostri politici non lo capiranno mai, va regolato e controllato, ma si rispetta sempre.

E le carnevalate vere, quelle che hanno avvelenato Roma e che ora la fanno agonizzare nel letto della speculazione e dell'incultura, quelle che celebrano muffiti residuati e raccolgono pidocchiose elemosine senza riuscire a buttare giù uno straccio di programmazione urbanistica e industriale, sono tutte in abito da sera.

venerdì, marzo 23, 2012

Dai mettiti sopra.

Un ottimo e in altre circostanze lucido giornalista riporta, nelle immediatezze dell'8 marzo, un'affermazione profferita da una sua amica, dando a intenderci che la condivide o quasi: "il mondo avido e violento di voi maschi etero ha miseramente fallito, ora tocca a noi donne e ai gay costruirne uno più umano".
Orbene io sono maschio, abbastanza etero, spesso mi sorprendo ad essere avido, e non di rado mi prudono anche le mani. Capisco (e condivido o quasi) il discorso dell'amica, ma mi chiedo: come diamine faranno le donne e i gay a cambiare il mondo?

Senza sperimentare il consueto arsenale di avidità e violenza, voglio dire.

giovedì, febbraio 23, 2012

I migliori anni della nostra vita.

La saldatura storica tra le litigiose fazioni popolari, infiammate da alcuni secoli di cocciuto e pretestuoso campanilismo, almeno qui in Italia, si è miracolosamente realizzata nell'aspettativa, collettiva e trasversale, che in questo secolo di incertezza e di paura un gruppo di accreditati aristocratici faccia al posto nostro le scelte giuste. Viene fuori la proverbiale pragmaticità nazionale e siamo tutti d'accordo: che siano le scelte da noi sempre disprezzate, le scelte dolorose e responsabili che abbiamo sempre deriso. Berlusconi subisce i processi, Bersani il liberismo, e nessuno protesta di niente.
Sembra che, dopo l'impetuoso entusiasmo conflittuale dell'adolescenza, sia infine arrivato qualcosa di simile al saggio e composto discernimento dell'età matura. E difatti, manca d'un tratto la voglia di combattere, sorge l'esigenza di fermarsi nelle acque sicure di un porto, i vecchi nemici diventano consorti e i progetti, quei pochi che si fanno, sono tutti poesia di sacrificio.

Ammettiamolo. Alla luce di tutta questa maturità, la Costituzione sembra quasi un'intemperanza.