giovedì, novembre 28, 2013

Decadenza.

Con Berlusconi ufficialmente fuori dalle balle si è perfezionato un istruttivo quadro storico.
2013: nella generalizzata anoressia post-bulimica del popolo verso la politica, con lo Stato gravato di debiti immani e con i quadri dirigenziali della politica, della pubblica amministrazione e della società civile paralizzati perché zeppi di raccomandati, restano lontani dal consesso legislativo, oltre al Cavaliere, anche Grillo e Renzi.
Gli unici tre personaggi dotati di una qualche forma di spessore politico e disposti a giocare in prima persona (in buona fede o meno non mi interessa, ho il diritto di voto per giudicare i fatti) tra il rischio del fallimento e l'obbligo delle riforme, due per furbizia uno per esservi stato cacciato, si trovano tutti lontani anni luce dalla fumosa sala da chiacchiere di fine impero che è diventata il parlamento.
Un esclusivo club di riccastri dell'ultima ora è diventato, senza nemmeno volerlo, il più repellente consesso per i leader politici di questi anni. Persino il Presidente del Consiglio attuale lo ha confermato: ha detto "ora siamo più coesi", appunto.

De Gregori diceva: "la storia non passa la mano". La politica è già tornata nelle strade, da anni ormai, e non ce ne siamo accorti.

Non sono una signora.

Così come gli uomini, spesso, non sono più in grado di dare a sé stessi la colpa degli esiti amorosi, preferendo dare della sgualdrina alla lei di turno piuttosto che arruolarsi nella Legione Straniera, anche le donne, pare, oramai non sono più capaci di assumersi la responsabilità di ciò che scelgono di fare nel segreto di un'alcova.
Fioccano sui siti di notizie le storie di signorine che si prostituiscono a causa della crisi. Non l'avrebbero fatto, spesso dicono, se non fosse stato per una nobile causa: far studiare i figli, essere accettate in società, dare un senso alla vita dopo aver perso il lavoro.
Non è una cosa nuova: tanto per restare ai nostri tempi, pensate al '68: molte donne dicevano di farlo per solidarietà guerrigliera, per liberarsi dalla possessione patrigna, per condividere esperienze girando il mondo.

Le puttane sono sempre le altre: è una fandonia che agli uomini, clienti fissi o no, piace sempre un sacco.

martedì, ottobre 01, 2013

Dove c'è Barilla, c'è casa.

Quello che un retrivo conservatore come me può domandare al mondo che cambia, prima beninteso di esiliarsi da solo dal peraltro civile confronto democratico, è: l'evoluzione della famiglia è una prospettiva aperta o no?
E' necessario chiarire questo, perché molti conservatori come me sarebbero felicissimi di anelare al futuro, se ne potessero vedere, almeno, uno squarcio tra le nubi. E allora, domando e dico: qualcuno ha qualcosa da obiettare acchè si definisca famiglia anche un insieme di tre persone che si amano e che convivono? E dieci persone, se si vogliono bene e accudiscono i figli avuti in comune? E diecimila? Un miliardo? Sei miliardi e rotti?
L'espediente retorico della reconductio ad absurdum non è una trovata satirica, come si sa, ma è un sistema per semplificare le cose e ricondurle ai loro principi dominanti. Il principio dominante che nessuno, credo, oserà discutere è il seguente: esiste un punto preciso, opinabile quanto si vuole, oltre il quale il guazzabuglio sentimentale, onirico e sensuale tra esseri umani, seppure si può legittimamente ritenere di non ostacolare, non si può certamente più tutelare con le garanzie dell'istituto familiare. Certo, questo accade per mille ragioni, politiche, culturali, sociali, economiche. Ma tant'è.
Ora, si sposti in qualunque posto tale limite, più dietro o più avanti, ma si apprezzi l'invincibilità di un fatto. Il discrimine tra ciò che è famiglia e ciò che non lo è sarà sempre, inevitabilmente, di tipo culturale, e pertanto opinabile e parziale. Non c'è nulla di oggettivo nel dire che un certo aggregato umano è una famiglia e un talaltro no.
A meno di non ritenere, e questo risolverebbe tutto, che, stante la maggiore considerazione postmoderna per l'etica personale, quasi totalizzante e oramai religiosa, l'etica del "ciò che voglio fare si può fare se non danneggia gli altri", l'istituto della famiglia, e l'idea stessa che un rapporto tra persone debba essere validato dalle leggi vigenti, è del tutto superata.
Ma a parte la grande contraddizione in termini del fondamento stesso dell'etica personale (basta pensare: chi decide "cosa" danneggia gli altri e cosa no, e quindi va tollerato? e rispondersi: non certo il singolo, ma inevitabilmente gli altri, con l'ordine delle leggi e della morale), resta un dubbio: come mai nessuno, a sinistra intendo, non lo dice forte e chiaro? Si dica, santiddio (chiedo scusa agli atei): "la famiglia è superata, tenetevi la vostre rate trentennali, la 600 e il divano sporco di bambini, e lasciateci la gioiosa libertà dell'orgia perenne".
E difatti era questo il manifesto dell'avanguardia gay, tanti anni fa, quando essere definito "uranista" non faceva fare scatti di carriera, ma era una scelta di vita pericolosa e realmente discriminata.
Poi i libertini hanno smesso l'abito avanguardista e scanzonato per vestire, all'alba del terzo millennio, la tonaca della predica perenne, della predica obbligatoria. Da antagonisti del modello familiare ne sono divenuti aspiranti, improbabili, esegeti, e da nemici del moralismo si sono fatti alfieri di una nuova morale bellicosa, sbracata e priva di obiettivi. Dinanzi alla critica dei figli, che domanderanno loro perché non ci si può sposare tra venti persone, o perché non ci si può sposare con la propria comitiva di amici, con un'entità incorporea o con un oggetto amato, avranno due strade: o ammetteranno che ciò che desideravano in questi anni era un'altra cosa (e non gliela poteva dare il parlamento) e quindi che hanno sbagliato, o li metteranno tutti al rogo, come dei moralisti qualunque.

Non ci sono più i froci di una volta.

sabato, settembre 28, 2013

La classe (dirigente) non è acqua.

Se la situazione politica del nostro paese resta stabile, così com'è ora, dice il presidente, gli investitori stranieri avranno crescente fiducia nel sistema Italia. E gli investitori nazionali, dal canto loro, saranno felicissimi di cucinare la parte di loro che residua dopo le tasse a commensali tanto altolocati.
Perché è noto, come sa il presidente, che gli interessi degli investitori stranieri e quelli degli investitori italiani, salvo deprecabili eccezioni dovute a miopia, coincidono perfettamente.

Comunque, a parte l'economia, per il resto siamo a cavallo.

domenica, febbraio 24, 2013

Elezioni, o: della "culpa in eligendo".

Sono talmente tanto risoluti, i nostri politici, a voler cambiare le cose, che non si capisce perchè li abbiamo considerati così male finora.

lunedì, novembre 19, 2012

Alzheimer Decò.

Tempo fa ho scoperto che esiste una corrente dell'architettura contemporanea che si è definita "Neoliberty". "Chissà come sarebbe bella declinata al 2000 - pensavo - quell'architettura che seppe superare persino le proporzioni auree, per sublimarle con la ridondante bellezza dei gambi di fiore". Quell'idea geniale, quella facciata solenne e delicata che ha riportato i più bei quartieri di Parigi, Napoli e Torino, per pochi decenni, all'illusione (del ritorno) della pace dei boschi, dove non c'è struttura e funzione che tenga, e dove la forma e la sostanza si confondono in una sola (allucinata) intuizione estetica.
Poi l'ho visto, il cosiddetto Neoliberty: un decorativismo vanesio e triste, cialtrone come la predica di un prete senza fede. Non che manchino, alle opere di Gae Aulenti, le basi tecniche del Decò: forma e funzione sono senz'altro composte un un unico blocco. Ma è un'unità pesante, priva di bellezza, dove il decoro e la struttura, più che fondersi, si alternano senza fantasia e senza uno schema ideale, in una composizione matematica più che estetica, e dove l'unione non riesce mai a sostituire completamente una semplice, e banale, convivenza.

Di qui la conclusione, dai drammatici ed epocali contenuti politici per quanto mi riguarda: le buone intenzioni, soprattutto di questi tempi, non bastano.


Anzi.

giovedì, agosto 30, 2012

Ridotto.

Ho guardato l'ultimo film di Batman.
Sembrerà una minchiata, ma non lo è: un (altro) film in cui una banda di fricchettoni comunisti vuol distruggere l'oleografico giardino della civiltà occidentale. Fa parte di una fortunata serie di film con cui il partito repubblicano conta di emozionare l'elettorato conservatore (e analfabeta) d'America e, se possibile, del mondo. D'altro canto va detto anche che la filmografia di sinistra, da sempre, divulga a livello mondiale storie di suore che picchiano bambine, generali che cominciano guerre e imprenditori che avvelenano il mondo, per emozionare, dal suo lato della barricata, l'elettorato progressista (e gli scoppiati di ogni età).
Avrete notato quanto, ai nostri giorni, sia stitico il dibattito ideologico e quanto sia prolifico questo filone cinematografico. Il caro vecchio confronto tra idee non s'usa più: comizi, dibattiti, libri. Oggi vanno di più le poesie, le foto del viso smunto di un bambino, i video trucidi della violenza tribale. Nichi Vendola le definisce, con un termine lucidissimo, "narrazioni".

Peccato non ho preso i pop corn.

giovedì, agosto 02, 2012

I maschi senza muscoli sono spacciati.

Il femminismo è l'ideologia più maschilista della storia. Se la questione astratta viene dichiarata essere il rispetto della donna, esso poi (con una eterogenesi dei fini veramente molto femminile) non si dà tanto all'insegnamento di quel rispetto ai maschi, quanto piuttosto all'attizzamento di un'uguale pari aggressività da parte delle femmine. Un errore culturale di proporzioni non ancora pienamente apprezzate, che poteva provenire solo da una cultura ignara del contributo, in materia, della morale cristiana.

In questa battaglia tra villosi gladiatori, dove il successo e lo spintone vengono celebrati in una perenne olimpiade androgina, l'unico argine che impedisce la regressione a una bruta, e pura, dialettica muscolare, l'unico puntello che tiene in piedi l'illusione della parità, è quello dato dall'opulenza del vivere moderno, dove i muscoli contano meno di niente.
Ma se domani scoppiasse una guerra anche locale, col suo seguito di paura, precarietà e miseria, io temo che dimenticheremmo d'un colpo, mercè il femminismo bevuto finora, l'eco lontano delle mille Madonne cristiane, e rivedremmo ancora certamente, nelle convulsioni umane della lotta per la sopravvivenza, la spregevole sagoma di Medea o Pandora, figure temibili, ma di facili prede.
Al tempo delle caverne funziona così: i forti prendono ciò che vogliono. Questo fa sì, quindi, che i deboli non abbiano altra difesa che la sottomissione e il tradimento. Il che comporta, infine, che i forti cerchino di continuo la vendetta sui deboli e il suo inebriante odore metallico, in un cerchio vizioso e infinito.

Il femminismo, parola singolare maschile, è l'inizio della preistoria. Quella si, molto maschile.

giovedì, luglio 12, 2012

Laggente.

La gente vuol vedersi riconosciuto il diritto di sapere per poter esercitare con maggior profitto il diritto di essere ignorante.

Ho visto un re.

Il socialismo è l'ideologia più ingenua della storia, figlia di un tempo in cui i re e i capitani d'industria erano ancora proprietari di uno stile e di una cultura diversa e superiore. Essi infatti, al di là delle personali tenute morali, erano guardiani di un patrimonio di regole che imponevano loro, verso chiunque, etichette di rispetto, di distanza, di sensibilità e di prudenza, e proprio per questo, in qualche modo, erano percepiti dalla società come soggetti necessari, e per tanto rispettati. Ma oggi, perchè chiedere ancora la testa delle casate nobili e borghesi d'Europa, quando si può ammirare il loro quotidiano disfacimento nel diluente delle plebi più semplici? Diete, cocktail e tatuaggi, eccessi e chiacchiere, le classi dirigenti assomigliano sempre di più ai liberti arricchiti di fine impero: raffinati ed eleganti, ma in nulla dissimili a coloro che vorrebbero governare in quanto a cultura e prospettive.
E' merito forse della maggiore accessibilità ai saperi, che pone all'attenzione di chiunque libri e musiche degni di un re; o è colpa, magari, della maggiore promiscuità sociale, provocata in politica dagli sconquassi della Riforma, chissà.

Sta di fatto che il socialismo è stato l'ultimo atto d'amore dell'Europa per la sua storia, l'ultimo tentativo di salvataggio del suo antico e complicato fardello culturale; in quell'odio per le classi dirigenti coltivato dagli intellettuali c'era, oltre all'anelito progressista, una straziante richiesta di ordine e di stile, diretta a classi dirigenti percepite oramai come inutili contenitori di privilegi. Destra e sinistra infatti, nella storia del socialismo, si confondono e si annullano.
E forse proprio per questo il socialismo, più passa il tempo, e più affascina solo le persone ben nate (depositarie, quasi inconsapevoli ormai, di frammenti di quella cultura "alta"), mentre la gente semplice, più passa il tempo, più si allontana dall'Utopia, per esercitare il mestiere del piccolo epicureo.

Il socialismo fu il lamento dell'Europa dinanzi alla rovina della sua nobiltà; il seguito è un grande, lungo atto d'indifferenza. Se passeremo dall'indifferenza all'oblio, mescolati con mille altri popoli e mille altre guerre, e ricostituendo nuovi ordini e nuovi stili, io non lo so. Ma sono sicuro che l'indifferenza, finchè resta tale e non si fa ancora oblio, nasconde sempre il dramma onirico del viaggio a ritroso.


E qui casca l'asino, puntualmente.

mercoledì, giugno 06, 2012

Scorza.

La differenza più caratteristica (mi pare di capire) tra i sedicenti popoli evoluti e quelli che si pretendono arretrati, è che, riguardo i propri limiti culturali, i primi non li ammettono, mentre i secondi ne hanno un'inconfessabile simpatia.

Questo complica parecchie cose.

Appocundria.

Non capisco se, nel corso dei decenni, è Napoli che trasforma la sua musica, o il contrario.

mercoledì, maggio 09, 2012

Dio stramaledica i Tedeschi.

La crisi (non viene detto troppo spesso) ha condotto a una situazione tipica di tutte le crisi: c'è chi si impoverisce rapidamente, e c'è chi si arricchisce con la stessa rapidità. Vale per gli uomini, vale anche per gli Stati.
La Germania, per esempio, oggi è nella felice condizione di vendere in Euro e comprare in Marchi.
Mi spiego: la Germania esporta in tutto il mondo con una moneta (l'Euro) svalutata rispetto al passato, ma acquista denaro (mediante l'emissione dei titoli di Stato) pagando interessi molto bassi (i famigerati Bund), in base alla solida credibilità finanziaria della sua storica finanza nazionale.
Gli altri, cioè noi, si trovano invece nell'infelice condizione opposta. Noi Italiani (insieme ai Greci, agli Spagnoli e non solo) esportiamo con una valuta (sempre l'Euro) supervalutata rispetto al passato, ma ci procuriamo denaro promettendo interessi altissimi, in base alle più o meno disastrate situazioni finanziare nazionali.
Risultato: la Germania, quando vende automobili, riesce a praticare prezzi come quelli delle auto italiane e francesi (grazie all'Euro); quando deve procurarsi denaro paga ai creditori interessi molto più bassi di Italiani e Francesi (come se avesse ancora il Marco).

Questo è inaccettabile per un motivo semplicissimo: è vero, e bisogna dirlo, che la Germania si è guadagnata da sè il diritto di promettere ai suoi creditori interessi più bassi di quelli Italiani, in cambio dell'acquisto dei suoi titoli di Stato, perchè è più solida, più produttiva e più stabile. La Germania ha il diritto di essere Germania.
Ma non si è guadagnata da sè, va parimenti detto, anche il diritto di vendere all'estero con una moneta più svalutata dell'ingombrante Deutsch-Mark. Se l'Euro è una moneta più vantaggiosa per l'export tedesco è solo per un motivo: è una moneta calmierata (o se preferite zavorrata) dalla compartecipazione di paesi poveri come la Spagna, il Portogallo e la Grecia. Senza di loro, e magari senza l'Italia e la Francia, un'automobile tedesca costerebbe molto, ma molto, di più.

Orbene, si può dire che, in quella che si definisce ottimisticamente "Unione", la Germania usa l'economia greca per aiutare la sua bilancia commerciale, ma non vuole che la Grecia usi l'economia tedesca per ripianare i suoi debiti.

Io credo che, pur rispettando i meriti e i demeriti di ciascuno, bisogna sollevare esplicitamente la questione: o la Germania si rassegna a emettere titoli di debito in Euro insieme a tutti gli altri (gli Eurobond di Tremonti), portando a compimento l'unificazione monetaria a vantaggio di tutti, o il progetto intero dell'unificazione monetaria va ripensato. Non possiamo subire la spietata concorrenza tedesca sui mercati, e poi consolidare "fraternamente" i bilanci quando bisogna pagare le spese: o condividiamo sia le spese che i guadagni, o l'unione monetaria si rivela un sistema iniquo e recessivo per la maggioranza degli stati dell'UE, che come tale va riconsiderato in sede politica.



La Germania della crisi è un ospite che non invita nessuno al suo desco, ma si siede volentieri a banchettare in casa d'altri: vorace quando si tratta di allungare il brodo altrui, avara quando è il momento di dividere la sua bistecca.
E quando le si chiede equità, eccola rinfacciare che (come darle torto!) il suo filetto di vitella non vale il nostro magro consumè. Che lei, però, continua a sorbire con appetito.

mercoledì, maggio 02, 2012

Il Veglione del primo Maggio.

La dimostrazione che le crisi economiche sono il ventre fecondo della storia: destra e sinistra sono finalmente concordi su una questione che, in altri tempi di espansione economica, avrebbe lasciato due-tre morti in ogni piazza. Eccola.

Quando la moneta gira, i diritti non sono un problema. E quando la moneta non gira, i diritti non sono la soluzione.


E' la fine della politica come la conosciamo, se non ve ne siete accorti.

mercoledì, aprile 18, 2012

pRosa.

Ho nelle vene tracce dei Dori e degli Illiri.
Per questo, forse, sono sempre così irrequieto, attratto dal ritorno in posti dove non sono mai stato. Sogno l'arrivo felice ad abbracciare mute cime bianche di neve, su valli nascoste umide di pietra e capelvenere, verso sorde spiagge affogate di giallo e blu.
Luoghi mai visti prima, e comunque mai conosciuti, dove arrivo solo io, a trovarvi rifugi bruni e d'oro, e sapori mai sentiti.

Il dottore dice che è stress. Bah.

martedì, aprile 17, 2012

Finanziamento pubblico o accanimento terapeutico?

Vero è che i partiti in qualche modo devono pur campare. Vero è che nel nostro sistema politico essi svolgono l'imprescindibile funzione di interporsi tra la rappresentanza e le pressioni lobbistiche. Vero è che senza partiti l'Italia diventa un mare scosso dalle onde di una continua guerra tra bande locali e lanzichenecche.

Ma sono anni, oramai, che viviamo senza.

venerdì, aprile 13, 2012

Buffoni e maschere tristi.

I finti centurioni al Colosseo sono un insulto all'eleganza che una metropoli europea dovrebbe vantare anzitutto, in questi tempi di magra e in mancanza d'altro. Sono rozzi buffoni che in nessun modo si possono inserire nell'offerta culturale della capitale, che non di carnevalate ha bisogno, ma di camerieri e di spazzini. E infine, col loro fare spiccio da energumeni, mettono a rischio l'immagine accogliente, magrolina e rassicurante che dobbiamo dare all'estero per varie ragioni, non ultima (nemmeno a farlo apposta) la storia passata e recente.
Però; c'è un però. I finti centurioni sono anche poveri cristi, che la mattina si vestono da buffoni per campare di spiccioli, all'aria aperta e circondati di turiste. I finti centurioni sono l'Italia che si rimbocca le maniche anche se non sa (e non vorrebbe) fare niente, piuttosto che morire d'inedia. E' l'Italia che non si perde d'animo e non prende mai niente sul serio, e che alla fine in qualche modo la sfanga anche lei, senza elemosinare niente a chiese, stati e organismi internazionali.
E a me personalmente, l'idea che un vincolo dei beni culturali possa reprimere la piccola genialità dell'espediente, facendolo passare per un'odiosa nota stonata nella "peraltro impeccabile" sinfonia dell'Italia un tanto al chilo, dà un fastidio tremendo. E non capisco nemmeno l'accanimento: in fondo, spesso, nelle biennali e nelle mostre cinematografiche, amministratori e intellettuali sono così disponibili a tramutare il fetente "trash" in raffinato "naif". Ci vuole per forza la militanza sessantottina per giovarsi dell'alchimia?
La verità è che il lavoro, e i nostri politici non lo capiranno mai, va regolato e controllato, ma si rispetta sempre.

E le carnevalate vere, quelle che hanno avvelenato Roma e che ora la fanno agonizzare nel letto della speculazione e dell'incultura, quelle che celebrano muffiti residuati e raccolgono pidocchiose elemosine senza riuscire a buttare giù uno straccio di programmazione urbanistica e industriale, sono tutte in abito da sera.

venerdì, marzo 23, 2012

Dai mettiti sopra.

Un ottimo e in altre circostanze lucido giornalista riporta, nelle immediatezze dell'8 marzo, un'affermazione profferita da una sua amica, dando a intenderci che la condivide o quasi: "il mondo avido e violento di voi maschi etero ha miseramente fallito, ora tocca a noi donne e ai gay costruirne uno più umano".
Orbene io sono maschio, abbastanza etero, spesso mi sorprendo ad essere avido, e non di rado mi prudono anche le mani. Capisco (e condivido o quasi) il discorso dell'amica, ma mi chiedo: come diamine faranno le donne e i gay a cambiare il mondo?

Senza sperimentare il consueto arsenale di avidità e violenza, voglio dire.

giovedì, febbraio 23, 2012

I migliori anni della nostra vita.

La saldatura storica tra le litigiose fazioni popolari, infiammate da alcuni secoli di cocciuto e pretestuoso campanilismo, almeno qui in Italia, si è miracolosamente realizzata nell'aspettativa, collettiva e trasversale, che in questo secolo di incertezza e di paura un gruppo di accreditati aristocratici faccia al posto nostro le scelte giuste. Viene fuori la proverbiale pragmaticità nazionale e siamo tutti d'accordo: che siano le scelte da noi sempre disprezzate, le scelte dolorose e responsabili che abbiamo sempre deriso. Berlusconi subisce i processi, Bersani il liberismo, e nessuno protesta di niente.
Sembra che, dopo l'impetuoso entusiasmo conflittuale dell'adolescenza, sia infine arrivato qualcosa di simile al saggio e composto discernimento dell'età matura. E difatti, manca d'un tratto la voglia di combattere, sorge l'esigenza di fermarsi nelle acque sicure di un porto, i vecchi nemici diventano consorti e i progetti, quei pochi che si fanno, sono tutti poesia di sacrificio.

Ammettiamolo. Alla luce di tutta questa maturità, la Costituzione sembra quasi un'intemperanza.

domenica, settembre 25, 2011

Bye bye Einstein.

Trovata una particella più veloce della luce. Contrariamente alle previsioni, essa ha una massa infinitesimale, non dimagrisce e non ringiovanisce per strada. Quella di Einstein si rivela, forse definitivamente, una teoria errata nelle premesse e nelle conclusioni. Nel frattempo, però, la bizzarria dello spaziotempo è stata brandeggiata come una clava dai sacerdoti del materialismo. Sicchè finalmente è chiaro: le cause verranno sempre prima degli effetti, e il tempo, che pure a volte se la prende comoda, è sempre galantuomo.