Magari fossero contestazioni, quelle di questi giorni alla ministra Gelmini che vuole cambiare la scuola italiana.
Magari quelli più anziani in piazza fossero davvero dei cattivi maestri, e i più giovani degli insubordinati. Magari fossero picchetti, quei presidi minacciati, e pugni chiusi quelle mani minacciose. Avremmo, almeno, di che preoccuparci.
E invece non sono niente. La storia si ripete in farsa, a volte, quando è già stata tragedia; figuriamoci poi, quando già è stata un'improduttiva farsa la prima volta, cosa potrà mai diventare trenta e passa anni dopo. Una bieca messa in scena?
Inutile concertarsi con questa piazza qui. Giovani segaioli come lo siamo stati tutti, bisogna solo rimanere ad osservarli nel medio periodo: alcuni di loro, altri trent'anni ed avranno limato abbastanza le proprie idee, da potersi congedare dalla partecipazione civile come inguaribili e innocui nostalgici, come patetici sedicenti incompresi, o come battaglieri stanchi e nauseati di ogni cosa reale.
Patetici, forse, come vecchi professori comunisti, di quelli che nel 2008 si sono ridotti a fare a gara di giovanilismo tra loro e con gli alunni, con traballanti e, spesso, imbarazzanti esiti.
Naturalmente, solo i ragazzi più ingenui finiranno così.
Quelli più prosaici, infatti, scopriranno tra pochi anni le delizie del capitalismo, e appena avranno un figlio prenderanno a odiare immigrati, zingari e terroni.
Adolescenzialmente parlando, il progressismo sta all'intolleranza come il vino al mal di testa.
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