giovedì, ottobre 05, 2006

Da maestro diventai discepolo.

La novità politico-economica italiana più importante del secolo, forse, è appena passata in sordina sotto il nostro naso, sotto forma di notiziola da TG economia: Il "made in Italy" diventerà presto "made by Italy".
Dietro il gioco di parole si mimetizza una innovazione esiziale. Un signora ingioiellata lo afferma con tono innocente all'intervistatore della RAI: "forse non saremo più un paese di manifatturieri, ma diventeremo un paese di grandi progettatori".
La signora forse non ha parenti in fabbrica e non può saperlo. Quanti progettatori ci saranno? 20 milioni? Quanti laureati in industrial design? E tra quante generazioni? E soprattutto, tutti questi milioni di progettatori, come potrà smaltirli, non ancora l'Italia (peraltro priva oramai di manodopera e quindi di fabbriche), ma il mondo intero?
Cosa immagina l'Agenzia per il Commercio Estero (presieduta da Emma Bonino): un paese di laureati emigranti? E cosa ce ne faremo dei milioni di laureati ingegneri cinesi e indiani che hanno occupato già stabilmente gli USA e parte dell'Europa? Li buttiamo a mare con la scusa del "made by Italy"?

Non più "fatto in Italia" ma "fatto dall'Italia". Fatto da progettisti italiani in giro per il mondo, venuti su nella competizione per non perdere il posto, cresciuti dopo un pò nelle università straniere, dove avranno imparato le tecniche manifatturiere estere, i materiali e la cura estera per l'assemblaggio, la ricerca, l'inventiva. Italiani che parleranno per lo più un'altra lingua. Fatto da chi?

Si ignora del "made in Italy" la cosa più importante: che esso è il delicato equilibrio della sintonia tra idee e azioni, tra progettazione e produzione. Non ci sarebbe il glorioso marchio Alfa Romeo, nè quello Ferrari (sono solo due esempi) senza il rapporto intimo tra ingegneri ispirati e operai capaci, ex cesellatori e falegnami, tempra di contadini e poeti.
Si ignora del "made in Italy" la cosa più importante: che era roba fatta in Italia.

Il "made by Italy" è un pretesto per dire addio al mercato di chi sogna e produce, per imporre alla poco efficente italianità il mercato di chi arraffa soldi e rifila merce.

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